Lupus sotto controllo grazie a diagnosi precoce e farmaci innovativi 

Scatena un “esercito” di autoanticorpi che prendono di mira i nostri tessuti invece degli agenti patogeni esterni, diffondendosi potenzialmente in tutto l’organismo e producendo infiammazione. Può colpire qualsiasi organo o apparato, dalle articolazioni alla cute, dai reni alle membrane che ricoprono cuore e polmoni, fino al sistema nervoso centrale. È il Lupus Eritematoso Sistemico (LES), anche detta malattia “dai mille volti”. In Italia ne soffrono circa 40.000 persone, nel mondo 5 milioni, in nove casi su dieci donne, spesso in età fertile. Negli ultimi anni, il paradigma terapeutico del LES è stato rivoluzionato dall’introduzione di nuovi farmaci capaci di cambiare la storia clinica. In più, grazie alla diagnosi precoce, che intercetta la malattia quando non ha ancora prodotto danni agli organi, e alla prevenzione attiva tra i soggetti più a rischio (come i familiari dei pazienti, che hanno una probabilità di ammalarsi del 10%), la possibilità di ritardare, modulare e tenere sotto controllo il Lupus per crescenti periodi di tempo è oggi sempre più concreta.

In occasione della Giornata Mondiale (10 maggio) dedicata ad accendere i riflettori sulla malattia, la Società Italiana di Reumatologia (SIR) e il Gruppo LES Italiano ODV, uniscono le voci per sensibilizzare su luci e ombre di una condizione emblematica della complessità dell’intero universo delle malattie reumatologiche.

“Viviamo un periodo di grande fermento e innovazione nell’ambito di questa malattia”, dichiara Rosa Pelissero, Presidente del Gruppo LES, associazione che da quasi 40 anni supporta e dà ascolto a persone con Lupus e loro caregiver in tutta Italia. “Grazie ai progressi della ricerca, ricevere una diagnosi oggi è tutt’altra storia rispetto a dieci o venti anni fa. Ma continuiamo a raccogliere testimonianze di una convivenza non facile con la malattia: stanchezza, dolori diffusi, difficoltà a trovare ascolto e comprensione nei vari ambiti relazionali, tra cui il lavoro e la scuola. Tutto porta i pazienti a sperimentare un malessere che non è solo fisico ma anche psicologico. Alcune persone faticano ad accettare la diagnosi e a parlarne. C’è perfino chi chiede se il Lupus sia contagioso. Servono ancora molte informazioni su questa patologia, guidando i pazienti in un percorso che li accolga e aumenta la loro consapevolezza delle opzioni oggi disponibili”.

“Il vero grande scoglio – aggiunge Pelissero – resta quello del ritardo diagnostico e dell’accesso alle cure. Possono volerci fino a 20 mesi per avere una diagnosi. E anche dopo averla ricevuta possono esserci rallentamenti e difficoltà nell’avviare i trattamenti a causa delle lunghe liste d’attesa per visite ed esami specialistici. C’è poi il problema di assicurare ai pazienti continuità terapeutica, ad esempio con la possibilità di avere uno specialista di riferimento o con ambulatori di transizione per gestire il passaggio dalla pediatria al mondo degli adulti. Il Lupus è l’esempio concreto di come un sistema sanitario pubblico che funziona può fare davvero la differenza nell’esistenza delle persone, perché poter accedere a una cura adeguata nei tempi giusti significa non solo stare bene, ma anche avere una vita attiva, un lavoro, una famiglia”. 

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