La leishmaniosi è una malattia infettiva che colpisce i cani ma anche l’uomo e oggi non ha più confini, né nazionali né regionali. È ormai presente in tutta Italia, non solo nelle regioni più calde, e con l’incremento delle temperature sono in forte aumento sia la diffusione del parassita che causa l’infezione, sia del flebotomo, meglio conosciuto come pappatacio, l’insetto che trasmette la malattia.
La prevalenza nei cani varia da 1,7% al 48,4%, secondo i dati aggiornati dell’Istituto Superiore di Sanità e Ministero della Salute, ma in alcune Regioni del centro-sud e insulari un cane su due sarebbe esposto al parassita. Nuovi focolai di infezione vengono registrati anche nelle Regioni più settentrionali (Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige) addirittura fino a Bolzano.
Come zoonosi trasmissibile la Leishmaniosi, oltre alle implicazioni di clinica veterinaria, ha anche ricadute sulla sanità pubblica ed è in questa prospettiva che esperti di fama nazionale e internazionale, provenienti dal mondo della ricerca, dalle istituzioni sanitarie e dalla medicina umana e veterinaria hanno partecipato a “STOP alla leishmania in 3ACT”, un evento multidisciplinare promosso da Boehringer Ingelheim, organizzato da EV Soc. Cons. e con il patrocinio di ANMVI, tenutosi nei giorni scorsi a Rezzato (BS), per aggiornare e informare gli operatori sanitari sull’importanza strategica della prevenzione di questa malattia.
Le strategie per sconfiggere la Leishmaniosi si inscrivono nel paradigma dell’approccio One Health, in particolare per l’azione di controllo che si può mettere in campo attraverso il trattamento preventivo dei cani. «Da alcuni anni l’epidemiologia sta rapidamente cambiando, superando i confini meridionali per espandersi anche nei territori settentrionali. A influenzare negativamente la diffusione del vettore, i cambiamenti climatici con l’aumento delle temperature, gli allevamenti e le colture intensivi, gli animali di importazione, tutti fattori che favoriscono lo sviluppo delle larve dei flebotomi tutto l’anno e l’adattamento del flebotomo anche in fase di quiescenza invernale. Lo scenario desta preoccupazione, anche perché i casi di leishmaniosi animale e umana, soggetti a notifica obbligatoria, sono largamente sotto-notificati» ha dichiarato Gioia Buongiorno, Ricercatrice Dipartimento Malattie Infettive Istituto Superiore di Sanità (ISS).
L’approccio One & More Health – promosso durante il convegno – poggia su tre cardini:
- informare/educare veterinari e pet owner sull’infezione, sul flebotomo che la trasmette, sui rischi per la salute animale e umana;
- condividere le strategie migliori nella pratica clinica e nella sanità pubblica per ridurre il rischio di leishmaniosi attraverso un monitoraggio diagnostico e clinico degli animali e la sorveglianza del territorio;
- prevenire con l’impiego di prodotti insetticidi e repellenti che proteggono i cani, diminuendo il rischio di punture del flebotomo.
Fortunatamente, i numeri della leishmaniosi umana in Italia sono ridotti, qualche centinaio di casi l’anno, rispetto alle migliaia di casi di leishmaniosi canina. «Siamo storicamente un Paese endemico per la leishmaniosi umana – ha sottolineato Alessandro Bartoloni, Professore Ordinario di Malattie Infettive e Direttore Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi di Firenze – l’Italia in Europa è al primo posto per incidenza di leishmaniosi umana cutanea e al secondo per incidenza di leishmaniosi umana viscerale. La vera novità è che negli ultimi anni si registra un incremento dei casi di leishmaniosi anche nell’uomo, documentato da dati recenti sia in Emilia-Romagna che in Toscana, ma la presenza di casi umani riguarda tutto il territorio con una progressiva diffusione nel Nord-Est e aree che un tempo erano risparmiate. Questo fatto ha un impatto significativo sulla salute delle persone, sul numero di ospedalizzazioni e naturalmente sui costi, sanitari e sociali. Uno studio realizzato sul territorio al quale ha partecipato il Ministero della Salute, condotto sulla casistica di ospedalizzazioni per leishmaniosi umana negli anni tra il 2011 e 2016, ha segnalato 1.700 casi di leishmaniosi viscerale umana, letale se non trattata subito e in modo adeguato, specie nei soggetti più fragili come la popolazione pediatrica, gli anziani e le persone di ogni età immunodepresse per altre patologie concomitanti. Un punto critico è la diagnosi; adesso che la leishmaniosi è endemica in tutto il Paese è fondamentale sensibilizzare, informare e rendere consapevoli i medici in modo che possano essere in grado di pensare e ‘sospettare’ una leishmaniosi umana e giungere ad una diagnosi tempestiva».
Nel video:
- Emanuele FERRARO, Head of Pets&Equine Boehringer Ingelheim Animal Health
- Gioia BUONGIORNO, Ricercatrice Dipartimento Malattie Infettive Istituto Superiore di Sanità
- Marco MELOSI, Presidente Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani
- Domenico OTRANTO, Professore Parassitologia e Malattie Parassitarie degli animali Università degli Studi – Bari
- Alessandro BARTOLONI, Professore Malattie Infettive Università degli Studi – Firenze