Tra body shaming e body positivity l’obesità resta una malattia cronica

Sulle pubblicità di marchi famosi, soprattutto europei e americani, imperversano da qualche tempo modelle ‘curvy’. È il frutto di astute campagne di marketing che fanno leva sul trend topic di body positivity, reinterpretandolo però in maniera confondente rispetto ai messaggi di prevenzione.

“Non ci stancheremo mai di ribadire – afferma il professor Massimo Volpe, Presidente della Società Italiana di Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC) –  che i chili di troppo, sia quando configurano ‘sovrappeso,’ che ‘obesità’, vanno considerati una malattia vera e propria, oltre che un importante fattore di rischio per tante altre patologie, da quelle cardio-metaboliche, ai tumori, a quelle osteo-articolari. Valorizzare la bodypositivity e condannare il body shaming è sacrosanto se intesi come ‘inclusività’ e guerra alla discriminazione del ‘diverso’, del non allineato ai canoni estetici mainstream. Ma per nessuna ragione dobbiamo far passare il messaggio che l’obesità vada considerata come una condizione ‘normale’, addirittura alternativa alla magrezza eccessiva o al normopeso. In questo campo ‘uno non è uguale a uno’. L’obesità è una patologia cronica, una malattia di per sé che potenzia e si tira dietro una serie di altri fattori di rischio, dall’ipertensione, alle dislipidemie, al diabete, contribuendo attivamente ad aprire la strada a molte altre malattie”. E la SIPREC, in linea con la sua mission di combattere tutti i fattori di rischio cardiovascolari, si è occupata in maniera approfondita di obesità, attraverso un apposito documento di oltre 100 pagine (“Obesità: da amplificatore di rischio a malattia cronica”) pubblicato quest’anno e discusso al congresso nazionale in corso a Napoli fino a sabato 17 settembre.

“L’obesità e il sovrappeso – prosegue il professor Volpe – vanno affrontate e trattate già nei bambini e negli adolescenti, senza perdere tempo. Bisogna entrare nell’ordine di idee che non solo l’obesità, ma anche il sovrappeso fa male. Guai dunque a far passare il messaggio che qualche chilo di troppo è accettabile. Meno che mai pensare che l’obesità sia una condizione ‘normale’. Invitiamo dunque le mamme a non pensare che un figlio un po’ in sovrappeso scoppi di salute, mentre quello magrolino sia fragile e predisposto alle malattie. È come pensare che avere un po’ di pressione alta o un po’ di colesterolo faccia bene. Dobbiamo al contrario combattere con fermezza queste condizioni, intervenendo sullo stile di vita con una dieta personalizzata, ricorrendo se necessario anche ad un supporto psicologico e utilizzando tutti i mezzi terapeutici oggi a disposizione, dai nuovi farmaci, come gli agonisti di GLP-1, alla chirurgia bariatrica, sempre più mininvasiva. Purtroppo – prosegue il professor Volpe – molto spesso sono gli stessi medici e i cardiologi a non affrontare il problema; anche in questo caso è fondamentale un gioco di squadra, lavorando insieme ad una serie di professionisti. Ma soprattutto vogliamo ribadire ancora una volta che l’obesità è una malattia cronica. Bene dunque continuare a combattere il body shaming, cioè la marginalizzazione o peggio l’irridere il soggetto obeso. Ma senza però cadere nella trappola di questa deriva del concetto di body positivity, suggerita da alcune pubblicità e dai social”.

Il Global Burden of Disease (GBD) Obesity Collaborations nel 2017 ha stimato che la popolazione mondiale degli adulti obesi ha superato ormai i 600 milioni, con un clamoroso raddoppio di prevalenza in 35 anni (dal 1980 al 2015). Dei 4 milioni di decessi associati ogni anno all’obesità, almeno i due terzi sono dovuti a malattie cardiovascolari. Una relazione pericolosa dunque quella tra obesità e malattie cardiovascolari (soprattutto infarti) che si esprime attraverso l’amplificazione di una serie di fattori di rischio tradizionali (ipertensione, ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, diabete di tipo 2), ma anche di condizioni patologiche che danno un importante contributo al determinismo di ictus e infarti, quali sindrome metabolica, apnee ostruttive del sonno (OSAS), disfunzione endoteliale, stato di infiammazione cronica, iperuricemia, intolleranza glucidica e insulino-resistenza. Le persone con quadri più marcati di obesità infine sono a maggior rischio di comparsa di fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, angina microvascolare, ipertensione arteriosa resistente e tromboembolismo polmonare.

In Italia, secondo dati dell’Istituto Superiore di Sanità, 1 adulto su 10 è obeso e 3 su 10 in sovrappeso. Le Regioni dove si registra il maggior sovrappeso sono Puglia e Campania; quelle con il maggior numero di obesi sono invece Calabria e Campania. Nel 2019 i bambini italiani in sovrappeso erano il 20,4% e gli obesi il 9,4%. Nella Regione Europea dell’Oms, l’Italia è al primo posto per obesità e sovrappeso nella fascia d’età 5-9 anni. “Il ruolo dell’obesità come fattore di rischio cardiovascolare indipendente – conclude il professor Volpe – non va dunque sottostimato e derubricato a fattore di rischio ‘minore’, perché al contrario il peso è un protagonista assoluto del nostro stato di salute o di malattia. E bene ha fatto dunque la Commissione Europea a riconoscere l’obesità (marzo 2021) come malattia cronica recidivante, che a sua volta agisce come porta di entrata per un range di altre malattie non comunicabili”.

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