Buone notizie per le coppie con problemi di fertilità che hanno deciso di ricorrere alla Procreazione Medicalmente Assistita

Il monito alle Regioni: l’andamento epidemiologico in tempo reale delle coppie che accedono alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) può dare importanti indicazioni sulla diffusione del Covid-19 nella popolazione regionale

I trattamenti di fecondazione assistita, rientrati nel novero delle cure non urgenti e dunque sospesi durante il lockdown, oggi possono finalmente riprendere, a seguito del via libera del Centro Nazionale Trapianti e del Registro PMA dell’Istituto Superiore di Sanità. Ma se da un lato è necessario ripartire prontamente per non infrangere i sogni delle tante coppie – si stima 7-8mila al mese – che avrebbero dovuto iniziare o proseguire i trattamenti, dall’altro è fondamentale farlo in piena sicurezza. La risposta arriva dalla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO) che, attraverso il suo gruppo di interesse speciale (GISS) in Medicina della Riproduzione, ha redatto un Protocollo per ripartire garantendo la sicurezza di pazienti e operatori sanitari, al quale il Centro Nazionale Trapianti e l’Istituto Superiore di Sanità raccomandano di attenersi per riorganizzare le procedure di PMA durante la “Fase 2”.

“La nostra priorità era dare una risposta a tutte quelle coppie che avevano intrapreso un percorso di fecondazione assistita o che erano in procinto di farlo – ha dichiarato il Prof. Nicola Colacurci, Coordinatore del GISS della SIGO – Donne e uomini che negli ultimi due mesi si sono sentiti abbandonati e hanno vissuto con grande sofferenza l’ansia del tempo che scorre (oltre il 30% delle partner femminili che accede alla PMA ha più di 40 anni) e il timore di perdere definitivamente le proprie chance riproduttive”.

Il protocollo messo a punto dalla SIGO, oltre alle indicazioni per lariorganizzazione degli spazi e delle attività (dall’accoglienza alla visita, all’esecuzione della procedura), e per il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, prevede tre triage successivi che costituiscono dei check-point di verifica dello stato di salute delle coppie e degli operatori sanitari durante il percorso della PMA. Ad ogni triage – il primo viene effettuato in teleconsulto per ridurre il numero di accessi ai Centri -, nel caso in cui uno dei due partner manifesti sintomi lievi o aspecifici, è prevista l’effettuazione dei test sierologici per il dosaggio degli anticorpi IgG e IgM. Diversamente, in presenza di una sintomatologia Covid conclamata, il protocollo dispone che il prelievo ovocitario o il transfer di embrioni congelati vengano rimandati.

“Abbiamo lavorato in sinergia con le Istituzioni sanitarie nazionali per identificare delle linee di indirizzo comuni da adottare in questa fase delicata di ripresa dei trattamenti di fecondazione assistita – ha aggiunto il Prof. Colacurci. Abbiamo inoltre dato la nostra massima disponibilità a collaborare con le Istituzioni regionali alla stesura di specifici percorsi per ripartire in sicurezza, che tengano conto delle caratteristiche epidemiologiche e delle peculiarità dei singoli territori. C’è poi un altro aspetto di estrema rilevanza in chiave strategica di contenimento del virus durante la “Fase 2”: le coppie in cerca di prole sono tutte in età lavorativa e quindi potenzialmente più esposte al rischio di contagio. Pertanto, utilizzando l’andamento epidemiologico in tempo reale (tre triage successivi) delle coppie che si sottopongono a PMA, le Istituzioni sanitarie regionali potrebbero disporre di un campione selettivo dell’andamento epidemiologico dell’intera popolazione regionale”.

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