Epatite C, quali pazienti trattare per primi

Trattare i pazienti ma nel corso tempo è la parola d’ordine degli esperti che a più di un anno dalla disponibilità nel nostro Paese delle nuove terapie si sono riuniti per fare un bilancio nel corso dell’incontro, promosso da Gilead, che si è tenuto oggi dal titolo: Epatite C in Italia, Identikit di una malattia in via di eradicazione (Circolo della Stampa, ore 11.00),
I nuovi farmaci ad azione antivirale diretta sono in grado di modificare radicalmente la storia naturale dell’epatite C con la possibilità di guarigione di oltre il 95%. Ad oggi in Italia sono stati curati 32.512i pazienti, scelti sulla base di 7 criteri di prioritizzazione stabiliti da Aifa che hanno dato precedenza ai pazienti più gravi, basandosi quindi su un principio di “urgenza” della cura.
“Ora che siamo in procinto di uscire da questa prima fase di urgenza, dobbiamo prepararci a riprogrammare l’accesso alle cure e stabilire altri parametri, riproducibili e etici, per fronteggiare una grande popolazione di pazienti con vari gradi di malattia – afferma Stefano Fagiuoli, Direttore Unità complessa di gastroenterologia, epatologia e trapiantologia ASST Papa Giovanni XXIII, Bergamo. – La possibilità di “differire” ossia ritardare l’inizio della terapia (informed deferral) potrebbe essere una strategia terapeutica con l’obiettivo di garantire un accesso graduale alle cure trattando i pazienti prima che sviluppino un quadro clinico grave. Pertanto, il paziente dovrà essere valutato sia in base al rischio clinico specifico per HCV, ma anche a fronte di tutta una serie di fattori concomitanti quali comorbidità, obesità, ipertensione, diabete, ma anche al suo profilo psicologico e sociale che ci permette di capire se il paziente è in grado di attendere l’inizio della terapia.”
Esistono, oggi, categorie di pazienti che meritano un’attenzione particolare in termini di prevenzione e di cura, magari perché a più alto rischio di trasmissione dell’infezione?
“Da un punto di vista epidemiologico e di sanità pubblica occorrerebbe prendere in considerazione le categorie con un’alta probabilità di trasmettere il virus a persone siero-negative: stiamo parlando di tossicodipendenti per via venosa e di persone in regime di detenzione – afferma Massimo Andreoni, Direttore U.O.C. Malattie Infettive e Day Hospital Dipartimento di Medicina, Policlinico Tor Vergata, Roma – L’infezione da epatite C colpisce il 32.1% delle persone in regime di detenzione che appaiono oggi come la prima emergenza sanitaria da affrontare anche in considerazione del fatto che l’epatite cronica attiva evolve in cirrosi epatica.”
Continua Andreoni: – “Ricordiamo tra l’altro che queste persone sono generalmente co-infette HIV-HCV, hanno altre co-morbosità e sono costrette ad assumere numerosi i farmaci che possono portare problemi di aderenza alla terapia e di interazioni farmacologiche spesso difficili da prevedere, quindi sono pazienti che necessitano un monitoraggio molto attento. In generale, comunque i pazienti coinfetti HIV-HCV sono pazienti a più alto rischio di progressione di malattie epatiche ma anche di malattie extra epatiche (cardiovascolari, renali, ossee e del sistema nervoso centrale), rispetto al paziente mono infetto, quindi necessitano di un trattamento in fase più precoce per il controllo dell’infezione da HCV”.
Le strategie terapeutiche per fronteggiare il futuro, la complessità dell’HCV e della tipologia di pazienti mette dunque alla prova i clinici, ma anche tutti gli stakeholders che si interrogano sui principi di accesso ma anche di eticità e di presa in carico del paziente.

“Un patto sociale fra istituzioni, associazioni pazienti, enti regolatori e centri che erogano queste nuove terapie è a questo punto fondamentale perché serve per spiegare ai pazienti in attesa trepidante del farmaco che saranno trattati ma a tempo debito – aggiunge Fagiuoli – Infatti, trattare tutti i pazienti subito non sarebbe sostenibile né da un punto di vista dell’assistenza sanitaria in termini di risorse umane presenti nei dei centri di cura che si prendono in carico il paziente (il ritmo con cui possiamo trattare i pazienti con HCV è quello attuale), né dal punto di vista economico anche perché, oltre all’HCV, ci sono altre malattie da curare che non possono essere trascurate.”

Nel video:

  • Stefano Fagiuoli
    Direttore Gastroenterologia ed Epatologia Ospedale Papa Giovanni XXIII – Bergamo
  • Massimo Andreoni
    Docente di Malattie Infettive Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
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