Una nuova arma terapeutica contro il tumore ovarico

Circa 4.900 italiane ogni anno scoprono di avere un tumore ovarico e nel 70%  dei casi la malattia è già in uno stadio avanzato. Tra i tumori ginecologici il carcinoma ovarico registra la più elevata mortalità: si stima che ogni anno nel mondo venga diagnosticato a 220.000 donne, con circa 140.000 decessi.

“Fino a oggi il trattamento di questo tumore ginecologico particolarmente aggressivo è stato limitato a chirurgia e chemioterapia e, a differenza della maggior parte degli altri tipi di tumore, non era disponibile alcun farmaco biologico per il trattamento del tumore ovarico. – continua Sandro Pignata, Direttore UOC Oncologia Medica, Dipartimento Uro-Ginecologico, Istituto Tumori di Napoli – Purtroppo la diagnosi precoce continua a rappresentare un vero e proprio ostacolo, perché il tumore spesso non dà sintomi evidenti fino alle fasi avanzate. L’età media di comparsa del tumore ovarico è intorno ai 60 anni e circa il 5-10% dei casi hanno un andamento ereditario, legato alle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2. Nonostante l’efficacia della chemioterapia, il tumore si ripresenta in circa il 70 – 80% dei casi nei primi due anni”.
Dopo gli ultimi 15 anni senza novità di trattamento, sarà presto disponibile anche nel nostro Paese una nuova arma terapeutica contro questa forma particolarmente aggressiva di tumore ginecologico. Bevacizumab è il primo farmaco biologico approvato in Europa per il trattamento delle donne affette da tumore ovarico in stadio avanzato non pretrattate. La nuova terapia contrasta la recidiva e prolunga la sopravvivenza senza progressione di malattia. Bevacizumab è un anticorpo che lega e blocca in modo specifico la proteina VEGF (fattore di crescita endoteliale vascolare) che ha un ruolo chiave nell’angiogenesi, cioè il processo di sviluppo dei vasi sanguigni di cui il tumore ha bisogno per proliferare e diffondersi in altre regioni del corpo.
“Si tratta della quinta forma di tumore, dopo colon-retto, mammella, polmone e rene, per cui bevacizumab, capostipite dei farmaci antiangiogenesi, ottiene l’approvazione in Europa. –dichiara Maurizio de Cicco, Amministratore Delegato Roche S.p.A. – A livello mondiale, 1milione e 400mila pazienti sono stati trattati con bevacizumab, con oltre 1.500 trial clinici in 71 forme diverse di tumore. Questa nuova indicazione conferma le potenzialità di un farmaco di cui non si arresta lo sviluppo clinico e che sta registrando importanti risultati anche in un’altra patologia ginecologica oncologica”.
“Il grande obiettivo della comunità medico-scientifica negli ultimi anni è stato lo sviluppo di trattamenti in grado di ritardare e contrastare la recidiva del tumore, per permettere alle pazienti di vivere più a lungo senza malattia. Nonostante circa l’80% delle pazienti risponda positivamente ai farmaci chemioterapici la malattia si ripresenta con una recidiva nella maggior parte dei casi. – spiega Nicoletta Colombo, Direttore Divisione di Ginecologia Oncologica Medica, Istituto Europeo di Oncologia (IEO) – Il meccanismo d’azione del farmaco antiangiogenetico bevacizumab aiuta a controllare la crescita del tumore. Gli studi effettuati hanno dimostrato che bevacizumab, aggiunto alla chemioterapia e somministrato in fase di mantenimento, è in grado di ritardare la recidiva di alcuni mesi. Questo risultato ha importanti effetti sulla qualità di vita delle pazienti, perché la recidiva porta spesso con sé profondo sconforto e angoscia”.
Dopo la diagnosi di tumore ovarico il tempo assume un valore e un significato diversi,come rilevano i dati della ricerca“Il valore del tempo per le pazienti con il carcinoma ovarico”, realizzata da Doxa Pharma con il supporto dell’associazione pazienti ACTO Onlus. “I dati raccolti mostrano che la diagnosi di tumore ovarico è un punto di non ritorno per oltre la metà delle pazienti intervistate, ma il momento più  complesso si presenta al termine del percorso di trattamento, quando le pazienti vivono la ricerca della normalità perduta, si interrogano sul futuro e riflettono sul percorso affrontato. – commenta Gadi Schoenheit, Vice Presidente Doxa Pharma – Per 1 donna su 2 il futuro è più prezioso di prima, vissuto con maggiore attenzione a ogni momento da circa il 40% delle intervistate. La vicinanza dei familiari e l’attenzione dello specialista sono fonte di rassicurazione e supporto per la maggioranza delle intervistate. I dati mostrano che dopo la chemio le pazienti riprendono a vivere il proprio tempo, tornano a occuparsi del futuro, ma questo sguardo cambia al momento della recidiva, che ribalta le prospettive e genera incertezza”.
“Dopo il tumore ovarico il tempo non è più lo stesso, ma i dati raccolti mostrano che nei tre anni vissuti senza recidive le donne ricominciano a pensare al futuro. Circa il 60% delle intervistate ricomincia a percepire il futuro come illimitato. – continuaSchoenheit – Dopo lo shock della diagnosi e la fase di apnea vissuta durante l’intervento e la chemioterapie, questa è la fase più complessa, in cui alla malattia subentrano componenti psicologiche che meritano attenzione”.

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