ALCOLDIPENDENZA, È TEMPO DI CAMBIARE. E OGGI SI PUÒ, CON NUOVE TERAPIE

L’alcoldipendenza non è un vizio ma una vera e propria malattia che, in Toscana, interessa l’11,4% delle donne e l’8,5% degli uomini1 con conseguenze gravi. Ma sceglie di curarsi meno del 7% di chi dovrebbe, anche per la difficoltà ad accettare terapie basate sull’astensione immediata e totale dall’alcol. Oggi però è ipotizzabile un cambiamento, come è emerso dal simposio pisano, grazie a un approccio più realistico e accettabile, basato su una nuova soluzione terapeutica, Nalmefene, che permette di ridurre il consumo di alcol per arrivare gradualmente all’obiettivo finale dell’astensione. Questo approccio può rappresentare una importante opportunità terapeutica per quello che, tanto a livello italiano che regionale, continua a essere un problema di sanità pubblica.
Negli ultimi quindici anni si è assistito a un notevole incremento del fenomeno dell’alcoldipendenza che ha visto quintuplicarsi in Toscana i pazienti presi in cura dalle équipe alcologiche (da 1.240 nel 1997 a 5.376 nel 2012), un dato confermato dall’osservatorio privilegiato della Clinica Psichiatrica di Pisa (che cura per l’80% pazienti provenienti da altre Regioni). “Nella nostra Clinica si registra una diffusione del problema a fasce di età sempre più giovani, che ignorano gli effetti neurotossici che l’alcol ha sul cervello, effetti che sono ancora più gravi se si pensa che il cervello dell’adolescente e del giovane adulto è ancora in pieno sviluppo, – sottolinea la Prof. Liliana Dell’Osso, organizzatrice del congresso e Direttore della Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa. – A ciò si devono aggiungere le persone che ricorrono all’alcol con la speranza di risolvere altri problemi quali l’ansia, la timidezza, la depressione. Il nostro ruolo consiste nel far capire che l’alcol non è mai una soluzione ma al contrario aggrava il quadro generale del paziente”.

Il primo passo è far capire che, contrariamente a quanto si pensa, il disturbo da uso di alcol non è un vizio o uno stile di vita che una persona sceglie volontariamente. Si tratta invece di una vera e propria malattia influenzata o spesso indotta da altri problemi o disturbi.
“Come rileviamo nella nostra pratica clinica, sono frequenti le associazioni tra disturbo da uso di alcol e disturbi psichiatrici, in un autentico circolo vizioso tra esordio dell’alcoldipendenza e sviluppo di questo tipo di patologie, prime tra tutti i disturbi dell’umore– spiega il Prof. Andrea Fagiolini, Responsabile UOC Psichiatria Universitaria di Siena. – È anche forse per questa concomitanza tra disturbi psichiatrici e alcoldipendenza che quest’ultima rimane una malattia “sommersa” e quindi poco trattata (in Italia sono attualmente in cura solo 69.000 persone, cioè meno del 7% di quanti ne avrebbero bisogno), continuando così a rappresentare uno dei più importanti problemi di salute pubblica”.

Vi sono però ragioni più rilevanti che contribuiscono a mantenere l’alcoldipendenza un problema non trattato. Vi è, innanzitutto, l’incapacità della persona di ammettere di aver bisogno di aiuto o di riconoscere la sua condizione come rischiosa o dannosa. Un’incapacità che porta l’individuo a non chiedere aiuto a chi potrebbe fornirglielo, evitando così di risolvere il problema. “Ma vi è anche un’altra importante ragione all’origine del mancato trattamento dell’alcoldipendenza -ricorda il Prof. Icro Maremmani, Professore di Medicina delle Farmacotossicodipendenze all’Università di Pisa. – Fino a ieri, la soluzione che veniva prospettata era esclusivamente l’astensione immediata e totale dall’alcol. Un obiettivo non per tutti raggiungibile, tanto che non pochi pazienti o evitano di affrontare il percorso di cura o, se lo iniziano, frequentemente riprendono a bere (2/3 dei pazienti trattati per l’astensione ricadono nei primi 12 mesi)”.4,5
Oggi però l’approccio ai problemi con l’alcol può cambiare grazie ad una nuova soluzione terapeutica, Nalmefene, da poco disponibile in Italia e indicata per la riduzione del consumo di alcol in pazienti con alcoldipendenza che hanno un consumo ad elevato rischio. L’opportunità offerta da Nalmefene è quella di passare da un approccio basato sull’astensione totale, obiettivo non raggiungibile per molti pazienti e ostacolo a cominciare e mantenere il trattamento, ad un nuovo approccio basato sulla riduzione del consumo, che può rappresentare una tappa intermedia verso la completa astensione. In questo senso, la nuova terapia, integrata da supporto psicosociale, può offrire un obiettivo più realistico da raggiungere rispetto all’astensione e può quindi motivare un numero maggiore di pazienti a iniziare e mantenere il percorso di cura.
“Il cambiamento è la legge della vita, una legge che vale anche e soprattutto in psichiatria, – conclude la Prof.ssa Dell’Osso. – Così come cambia il comportamento delle persone legato all’alcol e si evolvono le nostre conoscenze scientifiche, anche l’approccio al disturbo da uso di alcol deve cambiare e sta cambiando. Oggi è possibile andare verso una soluzione finalmente più realistica e accettabile per i pazienti e per chi li ha in cura. Una vera e propria ‘soluzione ponte’, che consenta alle persone di raggiungere l’astensione dall’alcol senza gli eccessivi traumi dell’astensione totale”.
Per uscire dalla dipendenza il trattamento farmacologico da solo non basta. Occorre un percorso di trattamento strutturato e integrato. Il primo passo per uscire dall’uso di alcol consiste, quindi, nel rivolgersi con fiducia a uno specialista o a un Centro dedicato, che potrà consigliare la strategia più efficace e più adatta alle caratteristiche del paziente.

Nel video intervistati:

  • Liliana Dell’Osso
    Direttore Clinica Psichiatrica – Università di Pisa
  • Icro Maremmani
    Professore di Medicina delle Farmacotossicodipendenze – Università di Pisa
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