Artrite reumatoide, l’utilizzo dei farmaci biosimilari

In Veneto, clinici, farmacisti e rappresentanti dei pazienti si sono riuniti in un tavolo tecnico promosso da Sandoz, per discutere il tema del reinvestimento delle risorse rese disponibili dalle scadenze brevettuali e dalla disponibilità dei farmaci biosimilari. Lo studio è parte di un ampio progetto che coinvolge anche la Toscana e la Campania, e che ha l’obiettivo di identificare un percorso strutturato e razionale, basato su evidenze scientifiche, di allocazione/reinvestimento delle risorse liberate come conseguenza della scadenza dei brevetti dei farmaci biologici nell’area della Reumatologia.

“Nel 2018 i pazienti veneti con artrite reumatoide erano circa 40 mila e, sulla base dell’aumento annuo dei casi, è verosimile che oggi siano circa 50 mila. Se queste stime fossero confermate, vorrebbe dire che appena il 30% di loro è trattato con farmaci biologici: una percentuale inferiore a quella di altre nazioni. Da studi clinici e real world, inoltre, sappiamo che la quota di pazienti eleggibile si attesta tra il 50% e il 70% – commentano il Prof. Maurizio Rossini, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona – Unità Operativa Complessa di Reumatologia, e il Prof. Andrea Doria, Azienda Ospedaliero Universitaria di Padova – Unità di Reumatologia – I dati dello studio del Cergas SDA Bocconi dimostrano chiaramente che siamo in grado di liberare risorse. Ad oggi nella nostra realtà sono state destinate ad altre patologie non reumatiche, ma nella Provincia di Verona, per esempio, grazie ai farmaci biosimilari il budget ha comunque consentito di trattare circa il 10% di pazienti in più rispetto al passato. Raggiungere un target terapeutico più ampio è possibile ed è una priorità”.

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