Lancet Oncology: pazienti fragili tra i primi a ricevere il vaccino non appena sarà disponibile

Durante la pandemia, i pazienti colpiti da tumore al polmone hanno avuto meno accesso alle terapie intensive (8,3%) rispetto agli altri pazienti oncologici (26%) e la mortalità è stata molto più elevata (35% rispetto al 13%). A rivelarlo sono i risultati preliminari del primo studio internazionale sugli effetti del coronavirus nei pazienti con tumore toracico, pubblicato in questi giorni su Lancet Oncology.

Lo studio è stato coordinato da Marina Chiara Garassino, Responsabile dell’Oncologia Toracica presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori e presidente di Women For Oncology Italy insieme a Leora Horn del Vanderbilt-Ingram Cancer Center di Nashville, USA. Ha coinvolto 200 pazienti con carcinoma toracico e positivi al COVID-19, provenienti da 8 Paesi (Italia, Spagna, Francia, Svizzera, Paesi Bassi, Stati Uniti, Regno Unito e Cina), inseriti nel registro TERAVOLT tra marzo e aprile. Lo studio sta proseguendo in 4 continenti e mira a creare uno score che permetta di identificare chi di questi pazienti sia davvero a rischio.

La maggior parte dei soggetti coinvolti presentava un carcinoma polmonare non a piccole cellule (76%) ed era in terapia al momento della diagnosi di COVID (74%). Non è chiaro invece perché la percentuale degli accessi in terapia intensiva sia stata bassa. L’ipotesi della mancanza dei posti letto non sembra giustificare interamente questo fenomeno, che è accaduto nella medesima proporzione anche in nazioni colpite meno violentemente. E’ possibile che la scelta di non rianimare questi malati sia in parte dovuta a un pregiudizio sulla loro malattia, che li colloca tra i pazienti senza speranza, mentre è importante sottolineare che questi pazienti nel 2020 hanno aspettativa di vita di anni. Questo argomento merita una riflessione internazionale affinché, nel caso di una seconda ondata, la scelta di rianimare o meno sia fatta coinvolgendo gli oncologi curanti.

I dati dimostrano, inoltre, che i pazienti con un tumore toracico hanno una mortalità apparentemente maggiore rispetto agli altri tumori. Altro dato fondamentale: molti dei pazienti che si sono ammalati di COVID (81%) erano fumatori e il fumo si è rivelato essere il fattore di rischio più associato alla mortalità.

“Questo studio – dichiara Marina Garassino, Presidente di Women For Oncology e responsabile dell’unità di oncologia toracica della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano – ci ha permesso di identificare i pazienti con una neoplasia polmonare come una categoria ad alto rischio, che necessita di maggiore attenzione e protezione. Come Women 4 Oncology lanciamo quindi un appello per chiedere a tutti i governi di inserire questi pazienti, insieme alle altre categorie fragili, tra coloro che riceveranno per primi il vaccino anti-COVID non appena sarà reso disponibile”.

Lo studio pubblicato su Lancet Oncology è frutto di una collaborazione internazionale tra diversi istituti di ricerca e il registro TERAVOLT. Oltre alle prime due firmatarie dello studio, sono tante le donne medico e ricercatrici in ambito oncologico che hanno fornito il proprio contributo.

“Riteniamo che questo sia un aspetto fondamentale perché sono ancora tantissime le donne che in ambito accademico e sanitario trovano difficoltà anche sul piano della ricerca scientifica. Secondo una ricerca presentata da W4O a livello europeo in occasione dell’ultimo congresso ESMO 2019, infatti, le donne oncologhe, che pur rappresentano la maggioranza, che tuttavia risultano primi autori nei lavori scientifici rappresentano solo il 38%, a fronte del 62% di autori uomini. Analogamente, recentemente è stato documentato come significativamente inferiore sia il numero di donne rispetto agli uomini cui vengono assegnati finanziamenti internazionali per progetti di ricerca[1]  – dichiara Rossana Berardi vicepresidente di Women 4 Oncology, Prof. Ordinario di Oncologia all’Università Politecnica delle Marche e Direttore Clinica Oncologica agli Ospedali Riuniti di Ancona – E durante la pandemia da coronavirus le donne rischiano di essere ulteriormente penalizzate dal punto di vista professionale e occupazionale: secondo un articolo recentemente pubblicato su Nature[2], molte donne attive nell’ambito accademico e della ricerca si stanno trovando a dover gestire un maggior carico in termini di impegni casalinghi e familiari e questo sta avendo un impatto in termini di minori pubblicazioni e progetti di ricerca avviati rispetto ai propri colleghi uomini”. 

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