MIGRANTI: ARRIVANO SANI MA SI AMMALANO QUI

Nessuna minaccia alla salute collettiva

Qual è lo stato di salute dei migranti residenti sul territorio nazionale? Quali sono i bisogni di salute degli immigrati? Che tipo di assistenza ricevono? Sono in grado di accedere alle prestazioni sanitarie destreggiandosi tra difficoltà linguistiche e burocrazia? Davvero dai loro Paesi portano malattie da noi ormai scomparse? Gli immigrati sono un pericolo per la nostra salute? Queste ed altre sono le domande a cui il convegno “Migranti e salute: tra prevenzione, cura e fake news” ha cercato di dare una risposta.

“Promosso dall’Associazione Medici Endocrinologi, spiega Edoardo Guastamacchia, presidente AME, “il convegno, realizzato grazie al contributo incondizionato di Ibsa Farmaceutici Italia, coinvolge organizzazioni quali la SIMM, Società italiana di Medicina delle Migrazioni, l’OIM, Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, il NAGA, l’Università Bocconi, ed altri partner che si occupano di migranti”.

“Il numero dei migranti residenti a vario titolo sul territorio nazionale è pari a circa il 10% della popolazione generale”, afferma Piernicola Garofalo, Unità operativa di Endocrinologia dell’Azienda Ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello di Palermo e responsabile scientifico del convegno; “i livelli e le modalità di assistenza alla salute nelle sue varie declinazioni (prevenzione, diagnosi e terapia) sono estremamente difformi e poco tracciate ma sappiamo che l’integrazione degli immigrati passa anche attraverso l’accesso al sistema sanitario. L’articolo 32 della Costituzione descrive la salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività ed è di questo che dobbiamo occuparci. Rimuovere le barriere all’accesso tempestivo alle cure sanitarie è auspicabile non solo eticamente, ma anche dal punto di vista dell’efficienza economica”.

“Il fenomeno migratorio che da anni interessa anche il nostro Paese ha rappresentato e rappresenta, nonostante la diminuzione del numero dei migranti giunti in Italia, una questione viva descritta con modalità spesso distanti dalla realtà fattuale, e ingenerando una realtà percepita dai cittadini e diversa da quella che emerge dall’analisi asettica degli elementi di valutazione e dai dati disponibili”, spiega Enzo Massimo Farinella, Direttore della struttura complessa Malattie Infettive, Ospedale Cervello di Palermo. “L’impatto del fenomeno migratorio sul nostro sistema sanitario ha dimostrato che non esiste alcuna emergenza sanitaria. Non esiste alcun pericolo di importazione di malattie infettive che possano rappresentare elemento di allarme sanitario. I dati epidemiologici dimostrano che i migranti non veicolano patologie che mettano a rischio i Paesi che li accolgono. Al contrario si evidenzia che la difficoltà di offrire modalità adeguate di accoglienza e integrazione costituisce un fattore di rischio per la salute dei migranti, costretti a vivere in condizioni di precarietà e di promiscuità ambientale”.

“Va inoltre ricordato che i migranti nell’immediata fase che segue allo sbarco sono sottoposti alle procedure sanitarie che si sviluppano “sul molo” ove i medici della ASP effettuano una prima visita e per i casi per i quali si valuti necessario procedere a ricovero ospedaliero o ad accertamenti sanitari per la prosecuzione dell’iter diagnostico ed eventuale ricovero negli Ospedali del territorio. Per i casi sospetti per patologie trasmissibili, si attiva un percorso dedicato, attraverso il contatto diretto con i Reparti di Malattie Infettive che avviano un percorso dedicato. I migranti “residenti” ovviamente seguono le procedure “normali”, come tutti i residenti italiani, attraverso i percorsi istituzionali: medico di base, specialista ambulatoriale, ambulatori ospedalieri, ecc.”, conclude Farinella.

Le immagini dei migranti sono quelle di persone sofferenti, che hanno visto la morte in mare, ma anche felici di aver rivisto la terra. “Tutte le casistiche, con particolare riferimento agli immigrati arrivati negli ultimi anni, evidenziano la persistenza del cosiddetto “effetto migrante sano”, afferma Mario Affronti, Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) “cioè un’autoselezione in partenza per cui emigrano, scappano persone giovani in buone condizioni di salute, mentre sviluppano nel tempo, il cosiddetto “effetto migrante esausto”. Infatti, al momento delle prime visite all’arrivo in Italia si osservano problematiche relative al percorso di fuga come ferite, ustioni, disidratazione, ipotermia, colpi di calore/sole, esiti di sindromi da annegamento, lesioni muscolo-scheletriche. Per questi immigrati spesso si tratta di una migrazione forzata in quanto necessaria a sottrarsi a una situazione di violenza e di pericolo per la loro vita e in questo senso possono essere stati esposti a gravi eventi traumatici, tra cui violenze estreme e stupri, che avvengono sia in fase pre-migratoria, nel paese d’origine, sia durante il percorso migratorio. Ciò rende queste persone più esposte a incontrare difficoltà di adattamento nella fase post-migratoria con possibili vissuti depressivi e disturbi cognitivi secondari al trauma che inficiano i percorsi di apprendimento della lingua e d’integrazione socio-lavorativa nella nuova società”.

“La permanenza delle persone richiedenti asilo nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS), che spesso non prevedono procedure idonee all’integrazione, rappresenta un determinante negativo per la salute. Infatti, restare a lungo inattivi in un centro, senza imparare la lingua, senza lavorare, e in una situazione caratterizzata da indeterminatezza reca danni alla salute sia fisica che mentale, oltre a compromettere le possibilità di successiva integrazione. Ovviamente il quadro sarà più grave se le persone coinvolte sono in condizioni di fragilità (anziani, donne in gravidanza, persone affette da disabilità, genitori soli con figli minori, vittime di tratta-tortura-violenze, malati fisici e/o psichici)”, conclude Affronti.

“Un capitolo a parte per i bambini stranieri in Italia la cui quota si aggira intorno al 20%, con percentuali in alcuni paesi del nord anche al di sopra del 30%”, illustra Milena Lo Giudice, pediatra coordinatore nazionale area etico sociale della Federazione Italiana Medici Pediatri. “Gli stranieri che fanno nascere in Italia i loro bambini ci portano un patrimonio in termini demografici fondamentale, la denatalità italiana ha raggiunto infatti livelli preoccupanti. Il ruolo del pediatra è quello di lavorare nell’interesse del bambino a qualunque etnia appartenga, etnia e non razza essendo risaputo che dal punto di vista biologico esiste un’unica razza umana.

Per crescere bene un bambino ha bisogno di sicurezze per questo è essenziale sostenere e supportare la madre: si tratta di mamme straniere lontane dal proprio paese, con tutto quello che questo comporta, hanno grandi difficoltà, vivendo sentimenti di inadeguatezza e di solitudine. Le mamme hanno bisogno di essere accolte, anche nella loro diversità, legittimando – dove è possibile – le modalità di maternage e di accudimento delle varie culture che rappresentano, al di fuori di qualunque etnocentrismo, una condizione essenziale per la crescita di civiltà, consapevoli che qualunque cultura è portatrice di valori. Le mamme africane sono brave tanto quanto quelle italiane e, se per la mamma italiana svezzamento vuol dire ‘pastina’ per la mamma africana può invece essere ‘cuscus’, e la pastina, non necessariamente, rappresenta la scelta migliore. Rassicurare quindi le mamme nel loro ruolo, riconoscendone le capacità specifiche, è fondamentale perchè possano trasmettere sicurezza e fiducia ai loro bambini. Certamente un grave problema per i bambini figli di genitori stranieri è il non essere riconosciuti cittadini italiani e conseguentemente l’essere privi delle tutele e della sicurezza dei loro coetanei. Concluderei”, dice la pediatra, “con un proverbio del Kenya che recita così: per fare crescere un bambino è necessario tutto il villaggio”.

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