Ipertensione polmonare, una malattia che fa restare a corto di fiato

«Parlare di ipertensione polmonare significa far conoscere la malattia, aiutare chi ne soffre a riconoscersi nei sintomi e iniziare le cure il prima possibile. Non vogliamo più essere ‘orfani di diagnosi’» l’appello del presidente dell’AIPI, Leonardo Radicchi e quello dell’AMIP, Vittorio Vivenzio – le due Associazioni dei pazienti presenti in Italia – è univoco: una sola voce per dare voce a tutti i malati.

All’appello delle associazioni dei pazienti rispondono gli esperti che unanimemente concordano sulla necessità di favorire la diagnosi precoce e la tempestiva presa in carico del paziente da parte dei Centri altamente specializzati sin dalle fasi iniziali della patologia. Un appello congiunto lanciato alla vigilia della Giornata Mondiale dell’Ipertensione polmonare del 5 maggio, in occasione di una conferenza stampa dove è stata presentata in anteprima una pillola del cortometraggio ‘A corto di fiato’, un progetto patrocinato dalle associazioni AIPI e AMIP e reso possibile grazie al contributo non condizionante di MSD Italia.
Il cortometraggio vuole dare voce a chi, fino ad oggi, è rimasto inascoltato e diffondere il positivo messaggio che, se tempestivamente diagnosticata e trattata in modo appropriato, oggi si può offrire una buona qualità di vita alle persone con ipertensione polmonare. C’è ancora tempo – fino al 31 maggio – per partecipare, mandando il proprio contributo. Tutte le indicazioni sono sul sito www.acortodifiato.it che, a partire da giugno, ospiterà il cortometraggio».
L’ipertensione polmonare è una condizione clinica che colpisce cuore e polmoni. È caratterizzata da un aumento della pressione sanguigna nelle arterie polmonari. Nei pazienti possono essere presenti diverse cause alla base dell’ipertensione polmonare che possono portare a insufficienza cardiaca e decesso. I sintomi più comuni, che possono variare da individuo a individuo, sono: dispnea, faticabilità, capogiri e crisi sincopali. Inizialmente l’ipertensione polmonare è spesso asintomatica e quando i sintomi compaiono, la malattia è spesso scambiata con altre malattie ed è solitamente già progredita. Eppure una diagnosi precoce e accurata dell’ipertensione polmonare accompagnata da un monitoraggio continuo del trattamento, possono avere un impatto sul decorso clinico del paziente. Per questo è importante che i pazienti siano indirizzati precocemente ad un centro specializzato nel trattamento dell’ipertensione polmonare.
«Se una persona lamenta ‘fame d’aria’, se la sua stanchezza va al di là di un normale stress e persiste nel tempo bisogna credergli. E intestardirsi a cercare una spiegazione, non liquidare tutto con ‘sei fissato’ o ‘sei ansioso’» avverte Vivenzio. Quando finalmente dopo una via crucis arriva la diagnosi, lì per lì sei sollevato perché almeno non sei un ‘malato immaginario’ ma dura un istante. Fino a quando il medico non ti dice che cosa hai. E poi come arrivi a casa e cerchi su internet allora arriva la disperazione. Il fatto che l’ipertensione polmonare sia stata inserita nei LEA è un grande successo e un enorme passo in avanti. Ma non possiamo ancora dormire sonni tranquilli. Perché adesso la palla è passata alle Regioni. Noi speriamo che vengano adottati dei percorsi diagnostico – terapeutici – assistenziali che siano davvero un filo rosso per tutte le Regioni. Perché l’appropriatezza prescrittiva è fondamentale per la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale ma ancora di più per il paziente che deve poter contare sulla migliore cura possibile».
«L’ipertensione polmonare è una malattia rara. Fortunatamente, a differenza di altre malattie rare non è “orfana di terapia”. Questo dovrebbe essere un motivo di soddisfazione, se non fosse che troppe volte i malati arrivano ai trattamenti dopo una vera via crucis tra diagnosi sbagliate, sintomi ignorati, cure improvvisate ed è così, nostro malgrado, che ci troviamo ad essere “orfani di diagnosi”» spiega Radicchi. «Bisogna educare la società e il mondo medico in particolare. Mi riferisco ai medici di medicina generale, sono sempre loro i primi ad incontrare il paziente. Poi i medici della medicina del lavoro, quelli delle commissioni INPS per l’invalidità: combattere tutti i giorni una malattia rara è già abbastanza difficile, sarebbe buona cosa se riuscissero ad evitarci di dover combattere contemporaneamente anche quelle istituzioni che dovrebbero tutelarci»
Il ritardo diagnostico è un enorme problema per i pazienti con ipertensione polmonare. Si calcola che tra l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi definitiva passino in media più di 2 anni. «Un periodo che potrebbe essere utilizzato per somministrare terapie adeguate e cambiare la storia clinica dei pazienti» commenta Michele D’Alto, responsabile del Centro sull’ ipertensione polmonare della cardiologia Sun, ospedale Monaldi di Napoli. «L’ipertensione arteriosa polmonare (un altro dei cinque gruppi di Ipertensione Polmonare), non può essere trattata chirurgicamente ma solo farmacologicamente ed è importante una diagnosi tempestiva. Il livello di attenzione per fortuna è notevolmente aumentato negli ultimi anni, ma quello che ancora manca è un coordinamento tra i Centri. Una rete grazie alla quale i Centri meno esperti, ma che intercettano il paziente nelle fasi iniziali della malattia, siano collegati rapidamente ai Centri più esperti. Spesso il paziente si trova a girare, facendo una serie di consulenze un po’ slegate tra loro. Il percorso diagnostico è molto complesso e prevede l’esecuzione di numerosi esami come l’ecocardiogramma, le prove spirometriche, la TAC del torace con e senza contrasto, la scintigrafia polmonare, il cateterismo cardiaco. Esami strumentali importanti che vanno letti da occhi esperti. Così si arriva alla diagnosi. A questo punto, il paziente viene sottoposto ad una terapia specifica e seguito in maniera molto stretta per capire se la risposta è soddisfacente o se sia necessario eseguire terapie più aggressive. Tutto questo è possibile solo in un Centro con adeguata esperienza, che si avvale di molti specialisti che collaborano e sanno gestire adeguatamente tutti gli aspetti della malattia. I malati ci chiedono di essere assistiti a tutto tondo. Ovviamente ci chiedono il farmaco più adatto, la cura più efficace. E lo fanno perché hanno bisogno di tornare a vivere. Per questo anche l’aspetto psicologico è importante: perché la loro è una storia di dolore, di disagio sociale e relazionale».
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